giovedì 15 novembre 2012

IL VALORE DELL’AMBIENTE NELLA PIANIFICAZIONE DELL’AREA METROPOLITANA




La storia della pianificazione territoriale vede purtroppo pochi encomiabili successi, accompagnati da una lunga lista di insuccessi, le cui conseguenze hanno in varia misura gravato sulle generazioni successive a quella dei pianificatori. In alcuni casi la riorganizzazione territoriale è stata identificata con la razionalizzazione della rete delle infrastrutture, in altre con il decentramento di servizi, oppure con la collocazione sul territorio di “attrattori forti” capaci di incidere sulla distribuzione dei flussi sociali, o infine con la combinazione di queste, ed altre strategie.  Tutti questi approcci condividevano almeno una caratteristica, limitandosi nella sostanza a considerare soltanto uno dei due protagonisti della realtà ambientale:  l’uomo, e dimenticando l’altro, ovvero la natura.

Oggi fortunatamente siamo consapevoli che qualsiasi progetto che intenda dare forma alla futura area metropolitana di Milano non può prescindere: a) dalla centralità del tema del bene comune, e b)  dalla fondamentale componente di quest’ultimo rappresentata dal cosiddetto “capitale naturale”.  Presto detto: ma come fare? A prima vista sembrerebbe trattarsi di un compito relativamente facile, perché i grandi temi – o meglio, i principali “cicli” – sono sotto gli occhi di tutti: l’aria, l’acqua, l’energia ecc. Tuttavia, non appena si inizia a considerare seriamente ognuno di questi ultimi, esso immediatamente si frantuma in una miriade di dettagli, varianti, vincoli e problemi particolari; una molteplicità che rischia di seppellire sin dall’inizio anche i più preparati e volenterosi. E’ chiaramente impossibile uscire da questo impasse senza una disciplina (modalità di approccio) ed una metodologia (insieme di tecniche) capaci di organizzare l’ammasso di fatti e questioni iniziali entro uno schema di classificazioni, relazioni e priorità definite, e suscettibili di tracciare un percorso operativo praticabile: in termini semplici, una soluzione.

Un punto di partenza che mi sembra particolarmente promettente in questa direzione  è rappresentato dal concetto  di servizio di ecosistema del quale è fatto un impiego sistematico nel progetto TEEB (si veda in proposito TEEB Manual For Cities: Ecosystems Services in Urban Management, UNEP).
Un ecosistema è un modo per descrivere il funzionamento della natura e consiste delle sue componenti (acqua, aria, piante, animali, micro organismi ecc.) e della loro interazione. Il corretto funzionamento degli ecosistemi è alla base del nostro benessere e di quasi tutte le attività economiche, perché ogni risorsa utilizzata quotidianamente dal genere umano è collegata, direttamente o indirettamente, alla natura. La  futura area metropolitana dovrebbe pertanto fare assegnamento – almeno in linea di principio -  su un ambiente naturale “sano”, in grado cioè di fornire regolarmente un insieme di benefici, definiti appunto come servizi di ecosistema (SDE). Essi si possono classificare nel modo seguente:
·         servizi di approvvigionamento: sono quelli che descrivono l’output dell’ecosistema in termini materiali o energetici: acqua, cibo, materie prime, risorse medicinali;
·         servizi di regolazione: quelli che l’ecosistema fornisce regolando la qualità dell’aria e del suolo, oppure fornendo un controllo atto a prevenire calamità quali inondazioni, epidemie ecc.: regolazione del clima locale e della qualità dell’aria, rimozione dell’anidride carbonica dall’atmosfera e suo immagazzinamento nei tessuti delle piante, attenuazione di eventi estremi  quali uragani, tsunami, valanghe ecc., trattamento delle acque di scarico, prevenzione dell’erosione e protezione della fertilità del suolo, impollinazione, controllo biologico;
·         servizi di habitat o di supporto: sono quelli che sostengono quasi tutti gli altri servizi. Gli ecosistemi forniscono spazi vitali per piante ed animali, ed allo stesso tempo garantiscono la biodiversità di questi ultimi: habitat per le diverse specie, conservazione della diversità genetica;
·         servizi culturali: comprendono tutti i benefici immateriali che otteniamo dal contatto con gli ecosistemi: di carattere estetico, psichico e perché no? spirituale: occasione di svago e turismo, contemplazione ecc.

Si noti che il rilievo ora attribuito ai servizi di ecosistema trascina con sé conseguenze di vasta portata, tra le quali anche una modifica interessante nella definizione stessa di residente / cittadino (cittadina), che di fatto deve essere inteso come “azionista” – su base paritaria - del capitale naturale e dei servizi che questo è in grado di assicurare.

La seconda conseguenza consiste nella transizione da un atteggiamento per così dire passivo, in virtù del quale l’ambiente costituisce uno “sfondo” o un “contorno” - ovvero una mera entità residuale, ad un atteggiamento costruttivo, secondo il quale lo stesso, attraverso  i servizi di ecosistema, può contribuire efficacemente alla soluzione dei problemi che l’Amministrazione dell’area metropolitana dovrà affrontare. Ciò premesso, come è possibile integrare i servizi di ecosistema nella pianificazione territoriale? (Nel presente contesto “integrare” deve essere inteso come “rendere partecipe” alla soluzione di problemi).

La soluzione proposta nello studio citato consiste in un percorso a più fasi, che si può così riassumere:

1.       identificazione partecipata (con l’insieme degli “azionisti”) delle principali “sfide” che l’Amministrazione dell’area metropolitana dovrà affrontare;
2.       Identificazione degli SDE che possono contribuire alla soluzione. A volte sono sufficienti alcune domande “intelligenti”, come ad esempio: esistono all’interno dell’area terreni in pendenza ricoperti di vegetazione e boschi ragionevolmente “sani”, in grado di rallentare i flussi dell’acqua piovana? (Basta riflettere per un attimo su quanto accade in questi giorni in varie regioni d’Italia …);
3.       ricerca di informazioni e scelta dei criteri di valutazione. Si pensi ad esempio all’annoso, e irrisolto problema delle esondazioni del Seveso: possiamo affermare di disporre già di tutta l’informazione necessaria, o, viceversa,  sarebbe opportuna una ulteriore indagine? Quanto ai metodi di valutazione, essi sono di 3 tipi:
a.       qualitativi: esprimono la rilevanza di un particolare SDE, oppure consistono in un giudizio sul suo stato e sulle sue condizioni;
b.      quantitativi: ad esempio attraverso la misurazione del numero di posti di lavoro che potrebbero essere creati o tutelati preservando un determinato SDE;
c.       monetari, basati cioè sulla determinazione del valore monetario  di un particolare SDE, o di quello generato / distrutto  da un aumento / una perdita di efficienza. Qualche esempio:
·   criterio dei prezzi di mercato (efficace soprattutto per i servizi di approvvigionamento)
·   criterio dell’alternativa di mercato: costi di sostituzione (lavoro manuale in alternativa al servizio di ecosistema), valore del danno evitato (spesa risparmiata grazie ad uno specifico SDE), funzione produttiva (valore aggiunto da un  SDE come input in un processo produttivo). Nell’area metropolitana di Edmonton (Canada) è stata ad esempio affrontata nel 2009 la questione della determinazione del valore dei circa 13 milioni di alberi ivi censiti anche allo scopo di mostrare come l’uso degli stessi potesse rappresentare per l’Amministrazione una fonte di saving, o risparmio, significativa;
4.       valutazione degli SDE. Diviene possibile non appena si disponga delle informazioni e dei metodi di cui sopra;
5.       identificazione, confronto e assegnazione di priorità alle alternative (opzioni) emergenti attraverso i passi precedenti;
6.       analisi dell’impatto di ciascuna opzione sugli “azionisti” (residenti / cittadini (e)). L’obiettivo qui è di evitare l’insorgere di imprevisti effetti collaterali che danneggino un sottoinsieme della popolazione;
7.       distribuzione “ottimizzata” delle risorse disponibili. Il termine deve essere qui inteso in senso strettamente tecnico: l’allocazione finale di risorse dovrebbe risultare essere quella che garantisce il massimo valore per una particolare “funzione di merito” (ad esempio: il grado di accessibilità ai servizi essenziali), o che da tale soluzione si discosta il meno possibile. Questo – ben inteso – nel caso in cui sia concordemente ritenuto essenziale garantire un livello di accessibilità uniforme ed adeguato per tutte le categorie di cittadini.
Lo schema seguente fornisce una idea del modo in cui l’approccio sin qui descritto può essere applicato alla pianificazione / gestione del territorio:


Nota. Per Biodiversity, o Conservation Banking si intende un processo tendente alla riduzione nella perdita di biodiversità mediante una accurata misurazione della stessa. Dal 2008 sono in corso 2 progetti in Australia in aree nelle quali l’espansione dell’edilizia costituiva un serio pericolo per la biodiversità. Negli USA il progetto di Mitigation Banking si applica per la protezione delle cosiddette “terre umide”.

Milano 15 novembre 2012                                                         Claudio Conti



lunedì 29 ottobre 2012

INTERVENTO A BUCCINASCO


Lo scorso 19 ottobre ho avuto modo di intervenire ad un incontro promosso dalla Coalizione Civica Buccinasco sul tema La Grande Milano, opportunità e problemi. Città Metropolitana-Expo 2015-Parco Agricolo Sud Milano. In quell’occasione ho avuto modo di riproporre le riflessioni da me già sviluppate su questo blog a proposito della contrapposizione tra un modello centripeto / monocentrico ed un modello policentrico reticolare; in particolare ho approfondito alcuni aspetti tecnici legati a quest’ultimo, ed ho riproposto alcune idee sviluppate dal gruppo di lavoro attorno all’economista  Pavan Sukhdev sul tema del “capitale naturale”. Dedico questo post al primo argomento, riservando il prossimo al secondo.

Alla configurazione “a cipolla” (vedi sopra), in cui un nucleo territoriale centrale - relativamente piccolo ed altamente avvantaggiato in termini di accessibilità dei servizi di base- è circondato da anelli concentrici nei quali il livello di quest’ultima degrada regolarmente come ci si allontana dal centro, viene opposta oggi un’altra, solitamente definita come “rete policentrica”, la quale ad una singola polarità (il nucleo della cipolla) contrappone una molteplicità di poli, o attrattori, per di più connessi tra loro mediante una struttura reticolare. L’obiettivo è chiaramente quello di  spezzare, o per lo meno attenuare il rapporto di dipendenza dei centri minori rispetto a quello principale, e verrebbe perseguito  “ … dando più peso e ruolo ai centri minori investendoli di funzioni importanti e strategiche che appaiono così sempre più distribuite sul territorio e messe in rete da un sistema di mobilità collettiva che consenta ai diversi punti del territorio di entrare rapidamente in relazione. Tende così a crearsi una struttura urbana policentrica, che non significa evidentemente l’equivalenza di tutti i centri urbani dell’area ma prefigura una struttura urbana articolata e ricca di polarità economicamente importanti che contribuiscono ad un funzionamento più equilibrato dell’intera area.” (Provincia di Roma, Capitale metropolitana: il progetto strategico della provincia di Roma). Da un punto di vista politico, l’obiettivo del policentrismo è quello di promuovere uno sviluppo territoriale “equilibrato” e, per questa ragione, è stato inserito tra le politiche di sviluppo della Commissione europea (European Commission, 1999) nell’ambito dello Schema di Sviluppo dello Spazio Europeo (Ssse).

Il concetto di policentrismo è spesso utilizzato nelle nuove forme di gestione e governo della città; tuttavia “  … anche se […] il termine è divenuto in voga nella letteratura e nei documenti politici, una definizione chiara e priva di ambiguità è ancora assente” (Musterd e van Zelm, Polycentricity, Households and the Identity of Places, pp.697-80). Questa avvertenza da parte di Musterd e van Zelm ci invita a riflettere, e a tentare di rispondere ad almeno due interrogativi:
·         quali sono i criteri per identificare i pallini rossi della figura, vale a dire i poli?
·         quale è la natura delle connessioni che costituiscono la rete?

Il primo interrogativo è tutt’altro che banale, perché il policentrismo si limita spesso ad assumere la forma di un «arcipelago», nel quale un certo numero di nodi, di diversa grandezza e influenza, galleggiano in un vero e proprio mare di urbanizzazione caratterizzato da fenomeni di continuità insediativa, e dalla moltiplicazione di relazioni socio-spaziali operanti in condizioni di prossimità o distanza.
Un esempio di soluzione al problema dell’identificazione dei poli è offerto dal progetto Area vasta di Cagliari promosso dalla Provincia. In questo caso si è principalmente usato il rapporto

                                     pendolari in ingresso / numero di occupati residenti

per ottenere un indice di “capacità di attrazione” di ciascun comune. La graduatoria così ottenuta è stata integrata considerando anche i 5 comuni che attraggono il maggior numero di pendolari in valore assoluto, pervenendo in tal modo alla identificazione finale di 7 poli principali.

A questo metodo si possono muovere numerose obiezioni; la principale a mio avviso consiste nel fatto che, agendo in tal modo, si finisce inevitabilmente per “ingessare” per sempre la situazione esistente con tutte le sue eventuali anomalie. I flussi di ingresso sono infatti determinati soprattutto da due ordini di esigenze: a) di carattere professionale / lavorativo; b) di  fruizione di servizi. Difficile pensare infatti ad una significativa mobilità “interna” ad un’area così ristretta per motivi di tipo turistico o accidentale. I 7 poli prescelti sono tali in definitiva perché colà vi è la sede di lavoro, e dunque vi è (già)  lavoro, oppure perché vi si trovano (già) servizi con caratteristiche tipologico / qualitative che non sono disponibili nell’area circostante. Quest’ultima resta perciò condannata ad un ruolo permanente di subalternità, ed è difficile vedere come questo approccio possa portare con sé sviluppo e miglioramento dell’esistente.

A me sembra che una prospettiva più promettente, anche se tecnicamente assai più impegnativa, si apra assumendo come punto di partenza il grado di partecipazione al bene comune. Per evitare un eccesso di genericità è opportuno articolare quest’ultimo nelle principali categorie che lo compongono:
·         beni materiali, suddivisi a loro volta in
o   beni naturali (“capitale naturale”)
o   beni di servizio (“capitale di servizio”)
o   beni di valore estetico / culturale (monumenti, musei, opere d’arte: “capitale artistico”)
·         beni immateriali (la lingua parlata, le consuetudini e le tradizioni, la storia ecc.: tutto ciò che concorre a formare il “capitale culturale”).

Ciò premesso, il problema della determinazione dei poli può essere posto anche in termini matematici. In questa prospettiva siamo di fronte ad un (non elementare) problema di ottimizzazione vincolata, vale a dire un problema dove l’obiettivo è quello di rendere massimo (o minimo a seconda dei casi) il valore di una prestabilita “funzione di merito”: tutto ciò nel rispetto di un insieme di condizioni e vincoli predefiniti, anche complessi. Per spiegarmi meglio: se il punto di partenza è la condivisione del bene comune, il criterio guida della scelta dei poli non può che essere il seguente:

Quale è la distribuzione di poli che rende maggiormente uniforme la possibilità di partecipare al  bene comune?

Nel mio linguaggio “massima uniformità” equivale a rendere minimo il grado complessivo di variabilità – sul territorio in esame – degli indici di accessibilità al bene comune: siamo dunque, come dicevo, di fronte ad un problema di ottimizzazione. Quanto alla questione dei vincoli, a parte l’ovvia e banale constatazione per cui gli insediamenti abitativi non sono entità che si possono spostare nello spazio (almeno non facilmente), osservo che, se ad esempio si può modificare la localizzazione della fermata di un autobus, lo stesso non è normalmente possibile per un elemento costitutivo del patrimonio artistico, e così via. Tuttavia molto si può (e si dovrebbe) fare ad esempio nel campo dell’educazione e della salute: oggi a Milano una madre residente in zona 5 deve percorrere in media circa 400 mt in linea d’aria (che in pratica possono anche raddoppiarsi) per raggiungere la più vicina scuola d’infanzia; mentre in zona 2 sono sufficienti 250 mt … Se consideriamo le farmacie, il grado di disomogeneità è ancora maggiore: sempre a Milano in zona 1 sono sufficienti 270 mt, mentre in zona 7 e zona 5 ne occorrono più di 600. Non è differenza di poco conto, ed in alcune circostanze può purtroppo giocare un ruolo determinante.

Si chiarisce meglio, in tal modo, quell’idea di funzionamento più equilibrato alla quale ho fatto cenno fuggevolmente in precedenza. Oggetto principale dell’equilibrio tendenziale deve essere il grado di partecipazione – all’interno della Grande Milano – al bene comune. Con ciò non mi nascondo affatto le difficoltà che un compito simile comporta: dalla necessità di elaborare funzioni “di valore” specifiche alla identificazione corretta del sistema di vincoli ecc. E’ certamente più facile  provocare “flussi” di cittadini verso polarità prestabilite (ad esempio, mediante nuove infrastrutture) che avvicinare il bene comune ai cittadini, là dove risiedono o lavorano a seconda dei casi. Tuttavia questa è l’unica strada se si vuole evitare che il policentrismo si riduca alla transizione – da un’unica cipolla – ad una pluralità di bulbi a quella in tutto simili fatta eccezione per la dimensione.

Dovrebbe essere a questo punto chiaro che si tratta di questione assai complessa, e non è questo il momento per addentrarci in argomenti tecnici. Mi limito a due precisazioni:

·         il processo di ottimizzazione al quale ho accennato non si esaurisce mai, di norma, in un unico passaggio; ma contempla di solito più fasi consecutive, ognuna innescata dai risultati di quella precedente. Supponiamo infatti che il primo tentativo di ottimizzazione abbia identificato un sistema di polarità che ancora non soddisfano dal punto di vista dell’equipartecipazione al bene comune. Si tratta allora di identificare quali sono le aree di maggiore criticità, e quali interventi si possono effettuare – se ve ne sono – in termini di riallocazione / ridistribuzione delle risorse. Si passa allora ad una nuova ottimizzazione che ingloba queste varianti: se il risultato finale è migliore del precedente, esso costituisce il punto di partenza per un nuovo tentativo di miglioramento ecc.
·         l’uso che ho sin qui fatto della parola “polo” può far ritenere che queste entità non differiscano se non per la loro dimensione (n. abitanti, n. occupati, superficie ecc.). Esse possono viceversa svolgere ruoli diversificati: la figura mostra il caso di due “città corridoio” a livello interurbano:



Milano 29 ottobre 2012                                                              Claudio Conti